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Il Burnout: “morire per il lavoro e per la professione”

Il Burnout: “morire per il lavoro e per la professione”

28/2/23, 22:00

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità

“Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità” (Pablo Neruda)
La sindrome da Burnout, o più semplicemente burnout è il risultato di disturbi e di patologie derivanti da un grave stress fisico, psicologico ed emotivo che colpisce particolarmente le persone che esercitano
le professioni d’aiuto: medici ospedalieri, medici di base, infermieri, insegnanti, educatori, poliziotti, poliziotti penitenziari, vigili del fuoco, carabinieri, psichiatri, psicologi, avvocati, assistenti sociali, fisioterapisti, personale della protezione civile, operatori del servizio civile, qualora essi non rispondano in maniera adeguata e in modo efficace ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere.
Gli studi più recenti compiuti sulla sindrome da burnout hanno messo in evidenza tre particolari dimensioni, attraverso le quali si manifesta il burnout:
1) il deterioramento nei confronti del lavoro
2) il deterioramento delle emozioni e dell’entusiasmo, che erano originariamente associate al lavoro
3) il deterioramento dell’adattamento tra persona e ambiente lavorativo e tra persona e lavoro.
La prevalenza della sindrome da burnout, nelle varie professioni, pur non essendo stata ancora chiaramente definita, sembra essere molto elevata tra gli operatori sanitari, in modo particolare tra gli infermieri (il 40% degli infermieri ospedalieri rischia un elevato livello di burnout) e tra gli insegnanti (il 45% degli insegnanti va incontro a elevati ed allarmanti livelli di burnout).
Gli infermieri e gli insegnanti quindi, così come dimostrano i dati statistici, rappresentano le due figure professionali più a rischio di burnout.
Fare l’infermiere significa prendersi concretamente, faticosamente e continuamente cura della persona malata; soddisfare e appagare il più vitale dei bisogni umani: non soffrire, non provare dolore e stare bene in salute, per potere vivere sani e sereni la propria vita.
Fare l’insegnante significa prendersi onestamente, sinceramente e amorevolmente cura dell’alunno; significa alimentare e tenere accesa, senza mai farla spegnere, la sacra fiamma della “motivazione cognitiva”, con la quale ogni essere umano nasce, e con la quale
ogni uomo venuto al mondo cresce, matura, sperimenta, progetta e costruisce la propria vita; fare l’insegnante quindi, significa soddisfare e mai tradire l’irrinunciabile bisogno, insito in ogni alunno, di conoscere, capire, osservare, sapere, scoprire, sperimentare e poter progettare e costruire la propria vita e la propria autorealizzazione.
La categoria degli infermieri e degli insegnanti è sottoposta a numerosi stress di tipo professionale e la natura di queste due professioni, seppure diverse per la loro peculiare complessità e le specifiche difficoltà, se ricondotte allo specifico scenario scolastico e sanitario italiano, presentano lo stesso elevato rischio di burnout e simili problematiche che ad esso possono condurre.
La tipicità della professione insegnante: il difficile e delicato rapporto con studenti e genitori, classi numerose, situazione di precariato, conflittualità e rivalità tra colleghi, costante necessità di aggiornamento professionale, la rapida trasformazione della nostra società verso
uno stile di vita sempre più multietnico e multiculturale (crescita del numero degli studenti extracomunitari), il continuo evolversi delle nuove tecnologie (internet e informatica), il rincorrersi delle continue riforme (decreti delegati, autonomia scolastica, innalzamento della scuola dell’obbligo, riforma dei licei ecc.), il difficile passaggio dall’individualismo al lavoro in team (più docenti per classe, ritorno al maestro unico,
le compresenze), il mancato riconoscimento del ruolo istituzionale attribuito all’insegnante e il mancato riconoscimento retributivo (stipendio insoddisfacente e scarsa considerazione da parte dell’opinione pubblica).
La tipicità della professione infermiere: il difficile e delicato rapporto con i malati e i loro parenti, carenza di posti letto, malati sistemati su barelle nei corridoi, situazione di precariato, conflittualità e rivalità tra colleghi, costante necessità di aggiornamento professionale (gli ECM – Educazione Continua in Medicina), la rapida trasformazione della nostra società verso uno stile di vita sempre più multietnico e multiculturale (crescita del numero dei malati e dei degenti extracomunitari), il
continuo evolversi delle nuove tecnologie (internet e informatica), il rincorrersi delle continue riforme (eutanasia, testamento biologico,
pillola abortiva, accanimento terapeutico, obiezione di coscienza), il mancato riconoscimento del ruolo istituzionale attribuito all’infermiere e il mancato riconoscimento retributivo (stipendio insoddisfacente e scarsa considerazione da parte dell’opinione pubblica).
Queste figure professionali sono caricate da una duplice fonte di stress: il loro stress personale e quello della persona “aiutata”.
Ne consegue che, se non adeguatamente sostenuti, facilitati e incoraggiati, questi soggetti cominciano a sviluppare e a risentire di un lento, inesorabile e graduale “logoramento”, o “esaurimento” psicofisico dovuto alla scarsità di energie e all’impossibilità di scaricare lo stress accumulato.
In queste condizioni può anche accadere che questi professionisti si coinvolgano eccessivamente e/o negativamente con la persona “aiutata” facendosi un carico smisurato delle problematiche delle persone di
cui sono responsabili e a cui devono badare e non riuscendo più a differenziare tra la loro vita e la vita dell’altro, vanno, in questo modo, inevitabilmente incontro ad una dolorosa depersonalizzazione, all’esaurimento emozionale e al tradimento dell’originaria ed entusiastica motivazione, con la quale si era consapevolmente scelta la propria attività lavorativa.
Le reazioni di adattamento che i singoli individui, sia insegnanti che infermieri adottano per far fronte al burnout, nel tentativo di opporsi ad una situazione che, se non affrontata per tempo e in modo efficace, può degenerare in malattia psicofisica, sono diversificate a seconda dell’azione strategica che si pensa di mettere in atto:
- azioni dirette, cioè azioni e comportamenti, che tendono a volere vivere positivamente la situazione e a focalizzarsi sul problema piuttosto che sullo stato d’animo, o sulle personali emozioni suscitate dallo stesso
- azioni diversive, cioè azioni che mirano a evitare l’evento, adottando un atteggiamento e un comportamento apatico, impersonale, distaccato nei confronti di estranei
- azioni di fuga o di abbandono dell’attività, per salvarsi dalla situazione stressogena
- azioni palliative, cioè assumere comportamenti basati sul ricorso a sostanze, come caffè, fumo, alcool, farmaci, caramelle, dolci.
Tuttavia, un vero efficace e significativo modo di prevenire il burnout, o di intervenire sull’insegnante o sull’infermiere affetto da burnout è quello di attivare, a livello socio-istituzionale o a livello personale, un progetto terapeutico, attraverso un “sostegno di Counseling”, o un “sostegno psicoterapeutico” personalizzato, che si prefigga di raggiungere quattro obiettivi uguali per tutti:
- ridurre, ridimensionare, o meglio ancora eliminare, le proprie aspettative rispetto al lavoro e all’apprezzamento che desideriamo ricevere dagli altri, attenendosii il più concretamente e consapevolmente possibile alla realtà. È bene ricordare che aspettativa è sinonimo di delusione e frustrazione;
- enfatizzare gli aspetti positivi del proprio lavoro ed evitare di concentrarsi e fermarsi unicamente e ossessivamente su quelli negativi e frustranti;
- coltivare interessi al di fuori del lavoro ed evitare di portare con sé e nei luoghi, al di fuori del lavoro (in casa, nel rapporto coniugale e in quello genitoriale, nel gruppo di amici e nei momenti di divertimento e piacere) le problematiche professionali e lavorative;
- lavorare in compagnia, in team o in equipe, per non avvertire la solitudine e il peso della incomprensione e per potere condividere lo stress e le difficoltà dell’attività lavorativa.
A questo punto credo che sia chiaro a chi legge, che il corretto approccio alla soluzione di un fenomeno così complesso e invalidante, come il burnout, sia l’intervento che preveda un’azione a livello personale con un supporto tecnico/specialistico, come la psicoterapia individuale o di gruppo, o il setting di counseling, sanitario o scolastico.
L’intervento specialistico di tipo psicologico deve tendere ad aiutare il soggetto a reimpostare la propria vita, la propria attività professionale e la relazione interpersonale. Un intervento particolarmente efficace, per la prevenzione dalla sindrome da burnout e per la guarigione di chi ne è affetto, è dato dalla psicoterapia di gruppo.
La psicoterapia di gruppo infatti, riduce il senso di solitudine e di abbandono e migliora il sentimento di collaborazione e di aiuto reciproco, per questo risulta particolarmente indicata, nell’affrontare problematiche di tipo professionale, mancanza di autostima, disturbi d’ansia, comportamenti compulsivi, relazioni conflittuali, condizioni incui è estremamente utile potersi confrontare con persone che hanno problemi similari, vedere come li affrontano e imparare vicendevolmente. L’esperienza della psicoterapia di gruppo, soprattutto, quelle ad approccio umanistico-esistenziale promuovono, l’autoconsapevolezza, l’autofiducia e l’autorealizzazione, peraltro, caratteristiche peculiari della persona che funziona ad alto livello, ovvero la persona perfettamente
integrata (che tiene ben unite la dimensione cognitiva e quella emotiva) capace di ascoltare i suoi sentimenti in modo diretto e consapevole, senza sentirsi minacciata né inadeguata nei confronti della vita, del lavoro e degli altri. Questa persona non sarà mai a rischio di burnout, perché sa valutare in modo reale e ottimista il mondo in cui vive e la realtà che lo circonda.

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