La madre che uccide il figlio
La madre che uccide il figlio
15/4/24, 10:00
Perché una madre uccide il figlio? La cronaca liquida drammi del genere come pazzia. In realtà, è nel silenzio della persona che maturano certi pensieri. Chi è lasciato solo con le proprie paure perde il contatto con la realtà.
Non è facile dare spiegazioni accettabili e comprensibili ad avvenimenti che ci lasciano attoniti e smarriti, come quello di una madre che uccide a coltellate il proprio figlio di tre anni (fatto accaduto appena pochi giorni fa, ndr). Qualsiasi tentativo di trovare spiegazioni o ragionare sull’accaduto porterebbe, sempre e solo, alla più semplice e facile risposta di molti: "è una madre pazza, una madre che è stata colta da raptus omicida".
Questo è il limite, l’errore dell’informazione e della "cronaca nera" giornalistica, metterci asetticamente, direttamente e crudamente, in contatto solo con il fatto, o i fatti accaduti, lasciando che solo la mente del lettore, o dell’ascoltatore, provi a darsi spiegazioni o, peggio ancora, come spesso succede, l’ascoltatore viene lasciato solo in balia dei suoi inorriditi e scandalosi giudizi su dove può arrivare il comportamento bestiale dell’uomo e quali cose terribili può concepire la mente umana.
Voglio provare a dare una visione diversa dell’accaduto e, soprattutto, desidero guardare e riflettere su cosa c’è, dietro e sotto, l’accaduto e cosa c’è nell’anima e nella profondità interiore di quella madre. La prima riflessione che mi sovviene è il pensare alla inascoltata, ignorata e dolorosa solitudine, diventata, per questo motivo, insostenibile disperazione, in cui versa una donna, persona e madre, che non riesce più a tenere a bada i propri pensieri, specie quelli orrendi e deleteri, perché in balia dell’angoscia esistenziale e del proprio doloroso silenzio.
Mi chiedo, quanti e quali sono stati, gli incuranti e gli incapaci, che pur facendo parte della vita intima e affettiva di questa donna, non hanno sentito il dolore della sua anima e non hanno saputo leggere il linguaggio del suo corpo, come non hanno saputo ascoltare l’assordante silenzio e la sua disperata solitudine. Questa donna e madre assassina non è altri che l’orripilante testimonianza di un essere umano solo, disorientato, confuso e impotente. Un essere umano cui è stata tolta, lasciandola nella solitudine, incomprensione e dolore, la dignità di essere umano.
Ora però, a fattaccio compiuto, siamo tutti pronti a inorridire, scandalizzarci, commentare e adoperarci in mille ragionevoli spiegazioni, per non sentire il nostro dolore, il nostro dispiacere e la nostra precarietà, perché restiamo in balia della nostra mente e di ciò che essa ci suggerisce e impone, con coerenti e impeccabili ragionamenti. E, allora mi chiedo ancora: dov’è finito il "Padrone di casa", dove lo abbiamo relegato, incuranti e inconsapevoli, l’unico e vero proprietario della nostra casa?
Chi è, per me il vero "padrone e proprietario" della nostra casa? É il cuore, il nostro cuore. La mente è solo uno "scomodo e irrispettoso inquilino" che, appena lasciato a se stesso e in balia di un dolore che non sappiamo esprimere, né accettare, né condividere, ci conduce con i suoi pensieri falsati, violenti e ingannevoli, verso la nostra e l’altrui rovina.
Credo, che sia stato proprio questo inascoltato, angosciante e disperato dolore. e l’insostenibile solitudine in cui oggi versano in molti, che ha sfociato in pensieri orrendi e mortali ed ha armato la mano di questa madre contro il proprio figlio.
Infatti, paradossalmente, proprio il dolore provato per il crimine compiuto, e non più allontanato con ragionamenti, silenzi e chiusure nevrotiche, ha ridato dignità umana a questa donna che ora, purtroppo, dovrà imparare a convivere con il sentire più profondo del suo essere e del suo incancellabile dolore.
Tutto questo si sarebbe potuto evitare, se la donna non fosse stata lasciata da sola, con le proprie paure e angosce e avesse potuto trovare in qualcuno una efficace e significativa condivisione, qualcuno che riuscisse a comprenderla ridimensionando le sue paure, riportandola ad un giusto rapporto con la realtà e con le cose e le persone più care della sua vita.
Anch’io in quanto essere umano sociale e di cultura, mi sento correo e ugualmente colpevole, perché anch’io non sono sempre attento a leggere e ad ascoltare la sofferenza, la solitudine e il dolore di chi mi è vicino e compagno di vita e per questo credo che l’unica concreta ed efficace forma di prevenzione di questo male e di altri dolori che affliggono la nostra società e che infliggiamo agli altri sia l’ "ascolto": l’ascolto di noi stessi, dell’ "altro" e degli "altri". Sto parlando e riferendomi all’ "Ascolto Attivo".
L’ "Ascolto Attivo" così, come lo chiamano e lo insegnano gli psicologi ad indirizzo umanistico-esistenziale e, in particolare, gli psicoterapeuti di indirizzo rogersiano, cioè un ascolto congruente ed empatico di se stessi e delle persone, di quelle che amiamo e ci sono vicine, ma anche di quelle che, come noi, vivono l’esperienza del vivere e dell’esistere di diritto su questo nostro fantastico mondo.
dott. Silvano Forcillo